fratellimiraglia

Giandavide Miraglia


Giandavide Miraglia

SHOAH ITALIANA

Dopo tre stagioni di SHOAH Anna Frank vogliamo essere di supporto al nascente MUSEO DELLA SHOAH ITALIANA rappresentando i nostri autori.

La difficoltà che hanno incontrato gli scrittori italiani della SHOAH è quella di trovare un linguaggio atto a seguire senza tradirla un’esperienza senza precedenti. Con l’adattamento teatrale del suo libro, Primo Levi considerò che il teatro poteva offrire un linguaggio più adatto per presentare il dramma della SHOAH e poter così raccontarla al giovane pubblico.

Portiamo quindi il lager sulla scena per offrire allo spettatore il morso concreto della realtà al servizio della memoria per un impegno civile fondamentale. La nostra rappresentazione offre una visualizzazione di Auschwitz estremamente fisica e materiale. Lo scenario, volutamente realistico e allegorico, da subito presenta lo spettacolo della biancheria dei bambini che sventola sui fili spinati per proseguire poi col binario della selezione, interno di baracche, campo di lavoro, infermeria ecc.

Questi riferimenti scenici si impongono come linguaggio drammatico in sé, rappresentano una realtà indicibile traducendo in modo diretto ed esplicito la vita del lager.

I detenuti sono presentati sul palcoscenico in situazioni e comportamenti che caratterizzano concretamente la loro esistenza; allineati in fila, spingendosi per ottenere più rapidamente la zuppa (pag. 37), come fantocci rigidi fatti solo di ossa, ma seguendo scrupolosamente lo squallido ritmo della fanfara (pag. 26) che, come affermato più volte dall’autore, di tutte le brutture subite è ciò che resta più impresso. Oppure tentando di parere in buona salute e con passo agile e svelto quando sfilano per la selezione. (pag. 79).

La confusione dei linguaggi (torre di Babele) occupa un posto molto importante nello spettacolo perché permette di sottolineare un’assenza tremenda di comunicazione che porta all’inevitabile isolamento (pag. 35-36).

Il fracasso degli sportelli del treno spalancati violentemente (pag. 16), il sibilo del vento gelido, o ancora il rumore dei passi chiodati delle SS (presenza incombente su tutta la rappresentazione ma mai visibile al pubblico),lo sbattere delle porte delle baracche (pag. 21 – 23), sono tutte sonorità che simboleggiano l’assurdità della deportazione e dell’olocausto.