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Molière


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IL TARTUFO

Quando il 12 maggio del 1664 Molière rappresenta, durante una grande festa di corte denominata «I piaceri dell'isola incantata», la prima parte del suo «Tartufo», ha inizio una delle più sconcertanti ed al contempo significative vicende della storia del teatro. Da quella data Molière dovrà battersi per quattro anni, orgogliosamente ma anche con sostanziali correzioni al testo, perché la commedia potesse infine ricevere l'autorizzazione di Luigi XIV ad essere rappresentata.

Era avvenuto che la Confraternita del Santissimo Sacramento, potente associazione religiosa sostenuta dalla regina madre, aveva ottenuto la proibizione di quella ancora incompiuta commedia accusandola di oltraggio alla religione ed alla categoria dei «devoti»: Tartufo, infatti, è un personaggio molto «pio» che ha conquistato la fiducia dell'onesto e credulone Orgone, al punto di ottenere in donazione tutti i suoi beni (nel frattempo insidiandogli la moglie ).

In realtà quei benpensanti avevano ben ragione di protestare, poiché trattava per Io più di religiosi che si servivano della loro influenza e del loro potere per arricchirsi sulla dabbenaggine altrui: proprio seguendo la tecnica di Tartufo e, quindi, riconoscendosi in lui.

Molière presenterà al Re numerose istanze di autorizzazione sostenendo il diritto del suo teatro di far ridere sui vizi umani (come già spesso aveva fatto prendendo di mira altre categorie: medici, avari, nobili, mariti traditi, ecc.) e che l'obiettivo della sua satira non erano i devoti ma i devoti ipocriti, cioè i falsi devoti. La commedia, dunque, ( oltre alle sue proprie qualità drammaturgiche con tutte le sfumature della comicità, dal sorriso, al paradosso più ridanciano, fino al ghigno più sinistro) aveva tutti gli ingredienti giusti per denunciare un malcostume di falsità perpetuatosi, inutile dirlo, fino ai nostri giorni. È l'ipocrisia di coloro che, si chiamino «devoti» o «governanti», catturano la nostra fiducia per farsi scegliere od eleggere per poi tradirci fino a derubarci dei nostri stessi beni. E il potere di questi signori è così subdolo e invincibile che soltanto un intervento «dall'alto» riuscirà a salvarci: dentro la commedia, nel «Tartufo», sarà Io stesso Luigi XIV ad intervenire per smascherare I'astuto impostore; nella tormentata vicenda storica sarà ancora Io stesso Luigi XIV a concedere di persona l'autorizzazione alla messa in scena. Questo ulteriore parallelismo fra quei due importanti momenti, della finzione scenica e della realtà storica, ci ha spinti ad impostare l'allestimento teatrale del Tartufo non soltanto su una semplice rappresentazione del testo, ma anche sull'inserimento di esso in quel contesto «reale» così vivamente collegato alle vicende della commedia e della stessa Compagnia diretta da Molière.

Abbiamo così immaginato (con assoluto rispetto dei fatti che i documenti e le cronache ci hanno tramandato) di trovarci alla corte del Re Sole durante quel grande zibaldone di feste, teatro, svaghi, che furono «I piaceri dell'isola incantata». In mezzo a giocolieri, musici, ballerini, commedianti, arriva anche il momento in cui il Re invita la Compagnia di Molière ad esibirsi nella sua ultima commedia. I devoti-censori sono in allarme. Molière fa recitare alcuni brani della commedia. I censori si agitano sempre di più. Infine, durante la scena della seduzione, si precipitano sul palco e interrompono la commedia: è l'inizio, come realmente accadde, di quel complesso contenzioso fatto di denunce dei censori, istanze di Molière, consensi e ripensamenti del Re fino al consenso definitivo: soltanto lui, dunque, potrà salvare la commedia e il teatro stesso. Lui che è sopra la legge perché lui è la legge. E, d'altra parte, non aveva poggiato il suo potere sulla creazione di un accuratissimo cerimoniale, di quotidiane rappresentazioni rituali e teatrali di cui egli stesso era il protagonista?

E Molière (opportunista o ironico?) alla fine del «Tartufo» Io farà apparire in tutto il suo splendore di grande, onesto giustiziere, «un sovrano nemico di ogni frode, che sa guardare nel cuore degli uomini, e che nessun impostore non potrà mai ingannare».

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